A cura di Achille Carbogno e Cesare Lasen
Piante rare e associazioni vegetali di eccezionale importanza fitogeografica si associano alla bellezza intrinseca dei paesaggi in cui si inseriscono.
Ma, non di meno, per qualsiasi appassionato, ancorché poco informato sui nomi di piante e animali, non mancherà l'occasione propizia per apprezzare la straordinaria varietà di forme di vita e di biòtopi che si susseguono lungo i percorsi.
E’ noto che l’inconfondibile e suggestiva fisionomia del Comelico è connotata dai contrasti tra le creste luminose, accidentate e frastagliate delle DOLOMITI ORIENTALI tra cui il gruppo del Popera, ma anche i Brentoni, le Terze, i campanili del Rinaldo e i Longerin.
L’alta costiera della CRESTA CARNICA che segna i confini col Tirolo e la Carinzia si evidenzia con i suoi profili scuri per i vecchissimi terreni scistosi-filladici eccezion fatta per le splendenti scogliere calcaree del Cavallino, del Palombino e del Peralba.
Questo contrasto si rivela anche nell’insolito paesaggio settentrionale carnico , più antico sotto il profilo geologico, più dolce nella morfologia, morbido e ricco di alti pascoli.
Va anche rilevato che se il sottosuolo dolomitico ha prevalente composizione calcarea-basica, l'opposto substrato della cresta di confine carnica abbonda di terreni scistosi, silicei, umosi-torbosi, acidi.
Questa notevolissima differenza di “ACIDITA’” influisce sulla flora, ne arricchisce la specializzazione ed accentua le diversità.
Cystopteris sudetica è una rara felce forestale di origine centroeuropea, solo di recente scoperta anche nell'Italia nordorientale. Vicino a Santo Stefano vi è una delle due uniche stazioni del Veneto (l'altra è in Cansiglio).
Nei prati di Costalta, in ambienti freschi e umidi, vegeta una piccola e rarissima felce, Sotrychium vìrgìnianum, autentica perla.
Se è vero che tutto l'itinerario offre occasioni per un contatto ristoratore e riappacificatore con gli elementi della Natura, tant'è che sarebbe pretestuoso definire alcuni tratti privi o di limitato interesse, è altrettanto comprensibile che alcuni ambienti possano invece meritare un'attenzione più approfondita proprio in virtù della loro originalità e peculiarità.
Nei dintorni di Danta, località focale per il giro proposto, ad esempio, è sviluppato un sistema di luoghi umidi di eccezionale interesse (Val da Ciampo, Cercenà, VaI Màuria i più conosciuti) in cui si riconoscono lembi di torbiera di assoluto valore, degni del massimo rispetto.
Eccezionali, ad esempio, le fioriture delle piante carnivore del genere Drosèra nelle pozze, ma numerose sono le altre specie considerate rare e protette sia dalle direttive comunitarie che dalle liste rosse nazionali e regionali.
Interessante constatare che il sistema di torbiere comprende sia quelle basse, dette anche soligene, che quelle alte molto più rare da noi, dette ombrotrofiche, che si caratterizzano per i cumuli di sfagni che crescendo molto lentamente, rendono la vita delle piante dipendente solo dal contributo delle precipitazioni e non dal livello della falda.
Numerose le rarità relegate, proprio per la loro specificità (Andromeda polifolia, Vaccianium mitrocarpum), meravigliose orchidee, numerose Carex, le belle praterie a Schoenus ferrugineus), in questi singolari ambienti degni del massimo rispetto.
La specie che meglio caratterizza i numerosi siti umidi di questo comprensorio è la curiosa genzianacea, di origine artico-alpina, qui sopraggiunta nei periodi glaciali, dalla corolla di un intenso blu-violaceo scuro, Swertìa perennìs, che fiorisce in estate.
A proposito di zone umide di straordinario valore, delle quali è ricco l'intero Comèlico, non si può dimenticare l'altro sistema di biòtopi, localizzato nella zona di Coltrondo ma comprendente anche Némes e Passo di Monte Croce. Si tratta di ambienti ancora integri la cui importanza a livello scientifico è testimoniata da alcune presenze, quasi uniche per la nostra flora (qui, fra le altre, anche Carex chordorrhiza o Scheuchzeria palustrìs).
Un terzo gruppo di biotopi umidi, di rilevante valore naturalistico, è quello localizzato alle sorgenti del Piave, sul versante nord del Col di Càneva. Qui come altrove, sono apprezzabili gli scorrimenti superficiali di acqua, spesso colonizzati da muschi. Il patrimonio delle sorgenti sta diventando uno dei più preziosi in assoluto, considerando il valore sempre più strategico delle risorse idriche per il bene dell'umanità.
Diffusi in tutto il Comèlico, tra il fondovalle e i 1500-1600 metri, sono i fertili e ricchi boschi di abete bianco (abieteti). Il patrimonio forestale di questo estremo lembo settentrionale della Provincia di Belluno vanta solide tradizioni e tutti auspichiamo che rimanga l'esempio più concreto di una gestione delle risorse naturali durevole e compatibile.
A proposito di boschi, oltre agli abieteti (diffusi sia sui suoli dolomitici che sui substrati di matrice silicatica), spiccano i boschi di abete rosso, le peccete, di regola a quote più elevate (oppure nei fondovalle più freddi) che, sfumando gradualmente verso i lariceti che costellano le malghe e i pascoli di alta quota, si situano tra i 1500 e i 1800-1900 metri.
Al contrario di quanto si evince dagli archivi in epoca storica (1400-1600), è invece poco diffuso il faggio, in genere sempre misto all'abete bianco, anche nelle foreste più importanti e celebrate quali quelle della Val Visdende e del Bosco della Dìgola.
Sensibili differenze nella struttura e nella composizione floristica si possono apprezzare percorrendo i diversi tratti di sentiero in cui si alternano affioramenti di substrati prevalentemente silicati con quelli di origine carbonatica (calcari e dolomie).
Spettacolari, ma solo per citare un esempio, sono le peccete a megaforbie (ricche di alte erbe che si sviluppano nella stagione estiva in zone ricche di umidità e nutrienti in cui la neve ha ristagnato a lungo) che si incontrano lungo l'itinerario che attraversa il versante che collega l'Aiàrnola al Rifugio Lunelli e Selvapiana.
Esse appaiono repentinamente dopo un cambio di versante quando si passa dalle dolomie alle Arenarie rosse di Val Gardena.Nella fascia subalpina, oltre il limite del bosco, qui assai variabile in relazione all'uso del pascolo (ma è sempre più frequente osservare nuclei di larice e abete rosso che stanno ricolonizzando i pascoli sottoutilizzati), sono diffusi gli arbusteti subalpini. Oltre all'ontano verde che invade le vallecole percorse dalle slavine, con il suo caratteristico corteggio di esuberanti megaforbie (tra le quali note piante di interesse farmacologico quali l'imperatoria, Peucedanum ostruthium, e l'achillea a foglie larghe, Achillea macrophylla, o l'assai apprezzata, ma degna di rispetto, lattuga di monte, Cicerbita alpina, che evidenziano la fertilità del suolo), sono da menzionare soprattutto i rodoreti. Stupende fioriture di rododendro ferrugineo sono osservabili soprattutto nella parte in cui affiorano le rocce paleozoiche antiche della catena carnica principale. Un caso più unico che raro, almeno qui da noi nelle Alpi orientali è l'estesa formazione di brughiera, particolarmente acida e povera di nutrienti, che caratterizza tutta la Costa della Spina. Un ambiente floristicamente povero ma di selvaggia bellezza, a volte quasi inestricabile con rododendro ferrugineo associato a ginepro nano, azalea nana, le tre specie di mirtillo (nero, rosso e falso), brugo, uva orsina e poche altre specie legnose che proteggono il suolo da processi erosivi. È questo un ambiente ideale per molti animali che vi trovano rifugio e nutrimento.I prati delle zone di fondovalle, un tempo assai più estesi, rappresentano elementi del paesaggio tradizionale certamente degni di essere mantenuti e in cui si susseguono interessanti fioriture fin dalla fusione delle nevi con crochi, soldanelle, primule, ranuncoli e genzianelle.
Ma non v'è dubbio che le più belle e appariscenti fioriture alpine siano quelle delle praterie di alta quota.
Sia nel settore calcareo-dolomitico che in quello siliceo, con numerose specie vicarianti, si manifesta una ricchezza che colpisce anche l'occhio meno esperto. Numerose sono le immagini che, a prescindere dalla presenza di singole rarità, che pure non mancano, sono rimaste nel mio cuore, e allo stesso modo potrebbero colpire un qualsiasi escursionista. Alcuni esempi: tra Passo Sésis e Passo Oregòne, con il raro Lomatogonium carinthiacum, una genzianella di colore biancastro; la Costa d'Antola e il Col de Varda, tra Passo Silvella e la Sella del Quaternà, la cresta del Palombino, il versante con prati e sfasciumi tra il Cavallino e la Pitturina, i prati umidi dei dintorni dei Laghi d'Olbe.
Il paesaggio vegetale del Comèlico non sarebbe completo se non si citassero, rimandando il lettore a pubblicazioni più specifiche, le rocce, i detriti di falda, i pendii rupestri e aridi, i greti torrentizi, le nicchie ombrose e lungamente innevate, gli sfasciumi di cresta, le vallette nivali, le stazioni di riposo del bestiame, le schiarite boschive, i margini dei sentieri e una miriade di modeste ma non meno significative altre nicchie in cui i diversi fattori ecologici, con il contributo dell'uomo, selezionano le differenti comunità vegetali che ne esprimono la migliore sintesi.
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